IL PESO DELLE COSE a cura di Francesco Mutti è progetto di scultura contemporanea concepita nell’ambito di una profonda ricerca sul valore reale della nostra esistenza. Tre gli autori chiamati in causa: Paolo Mezzadri (Cremona, 1966), Massimiliano Roncatti (Firenze, 1986), Pierluigi Slis (Wuppertal, 1974).
Il peso, più di molti altri elementi, è simbolo del legame che noi tutti possediamo con la terra che ci ospita e che ci ha consegnata la vita. Risultato diretto di una delle inalienabili forze dell’universo – la gravità – la sua comprensione è metafora del valore che l’uomo assegna agli avvenimenti della propria esistenza così come a certi suoi stati d’animo.
Anche l’arte, in tale contesto di conoscenza, è chiamata a dare il proprio contributo, caricandosi sulle spalle il fardello del cambiamento, o per lo meno di una rinnovata sensibilizzazione in tal senso.
Consapevolmente, Mezzadri, Roncatti e Slis cementano le fondamenta di una nuova idea di scultura, lontana finalmente dal concetto di arte per l’arte, attraverso un linguaggio estetico fresco, originale ed emotivo che ne recuperi la sua imprescindibile funzione sociale.
“MEZZADRI, RONCATTI, SLIS – IL PESO DELLE COSE” a cura di Francesco Mutti
25 agosto – 23 settembre 2017, Centro Formazione Arti Visive, Piazza Guerrazzi, Cecina (LI), col patrocinio del Comune di Cecina e in collaborazione con l’Associazione Targa Cecina, la Direzione del Centro Formazione Arti Visive e l’Istituto Gemelli 2.0.
Vernissage venerdì 25 agosto ore 19:00.
Apertura: 26.08-10.09, ore 18:00-23:00; 11.09-23.09, ore 18:00-20:00.
“Il peso: più di molti altri elementi, simbolo della nostra esistenza e del legame che noi tutti possediamo con la terra che ci ospita e che ci ha consegnata la vita. Risultato diretto di una delle forze inalienabili dell’universo – la gravità – il peso evidenzia tutti i limiti e i difetti del sofisticato e complesso empirismo che ha contraddistinto il cammino dell’uomo nel corso dei secoli, nei confronti proprio di quella Natura che non manca ciclicamente di far sentire la propria autorevole voce: poiché a una scelta del tutto arbitraria di regolare le proprie unità di misura partendo da un’esperienza storica e sociale osservabile e condivisa che garantisca stabilità all’intero sistema, proprio il peso – benché ugualmente classificabile secondo convenzionali e ben definiti intervalli – avrà sempre idealmente in sé un’imprescindibile componente esterna alla quale, sino al momento in cui non abbandoneremo il nostro pianeta, dovremo sempre sottostare. Dunque, ancora, gravità.
Consapevoli dell’importanza di questa forza; e attraverso la metafora del concetto di peso, identico in ogni luogo della terra per quantità identiche di materia, si è soliti considerare determinanti – o irrilevanti – certi stati d’animo, certe considerazioni personali o il valore che ciascuno di noi vuole e può assegnare agli avvenimenti della propria esistenza, comparandone o traducendone l’entità sia dal punto di vista fisico che emotivo e letterario, nella certezza adolescenziale che, tale valore, sia allo stesso tempo contingente e assoluto; mentre alla singolarità degli eventi è assegnato l’illusorio compito di giustificarne la natura.
Dando al concetto di peso l’importanza di un valore comprensibile benché non quantificabile a priori e che, in effetti, ormai prescinde da quello fisico originario, l’uomo tende dunque a modificare la propria visione a seconda del momento e della situazione in cui si trova coinvolto, in virtù di una capacità di adattamento connaturata. Eppure, questa condizione alla lunga ha offuscato il suo giudizio proprio per la grande varietà a cui ha dovuto o voluto rispondere: la nostra società attuale ha del tutto dimenticato il reale valore della propria esistenza e brancola nel buio alla ricerca di una condizione di stabilità che ne sia, a tempo determinato o meno, valido sostegno.
Anche l’arte è chiamata a dare il suo contributo: essa in realtà dovrebbe e potrebbe rispondere a questa necessità se non fosse preda dello stesso sistema che si propone di salvaguardare. In ogni caso, nell’impossibilità di un cambiamento radicale che possa recuperare l’intero panorama alla saggezza perduta, alcuni sporadici interventi di sottobosco si caricano sulle spalle il fardello del cambiamento, o per lo meno di una rinnovata sensibilizzazione in tal senso, facendo presagire l’approssimarsi di un vento nuovo. Un sottobosco capace – con la proprie decisioni – di arricchire di elementi genuini la percezione minuta e per molti versi provinciale in cui l’arte versa, incuriosendo tutti coloro che si troveranno a incrociarne lo sguardo; e di chiarire a certe sorde alte sfere di comando come sia preferibile la sincerità della ricerca – futuribile, incerta eppure entusiasmante – alla polverosa certezza dell’apatico profitto presente.
Il progetto IlPeso delle Cose propone tre interventi scultorei che respirano a pieni polmoni il fermento di questo sottobosco e che possiedono la matrice di una conoscenza che voglia lasciar traccia di sé: quello del cremonese Paolo Mezzadri, una vita passata tra acciaio e ferro alla ricerca di un equilibrio emotivo che sappia dar voce alla moltitudine dei suoi pensieri e delle sue riflessioni sulla vita; del fiorentino Massimiliano Roncatti, vero talento di una scultura italiana in marmo purissimo ancora in grado di essere contestativa e tecnica, installativa e dinamica senza correre il rischio di apparire mero omaggio o, ancor peggio, piaggeria da plagio; infine quello del trevigiano Pierluigi Slis, intriso di contemporaneità mitteleuropea e capace di esaltare il potere delle idee sui barocchismi esecutivi – così come già ampiamente dimostrato nell’ambito della più celebrata rassegna veneziana del 2011.
Consapevolmente, Mezzadri, Roncatti e Slis cementano le fondamenta di una nuova idea di scultura e si fanno portavoce di una schiera sempre più numerosa di talenti cristallini che incontrano l’arte a metà strada, procedendo guardinghi tra compagnie poco raccomandabili, servitori dal salamelecco facile e consiglieri istruiti alla vendita. Lo fanno già da un po’, attraverso vie del tutto diverse eppure con risultati che sorprendono all’unanimità, per la freschezza del linguaggio, l’originalità della proposta, la forza del messaggio veicolato. Il quale traduce in forma sintetica quei rivolgimenti emotivi e fisici a cui l’arte in generale – ma più in particolare proprio la scultura – si dovrebbe opporre, in risposta a un momento in cui la si vede costretta a una mercificazione esasperata, a un evidente impoverimento intellettuale, a una (ri)strutturazione neo-manierista di sciocco spessore.
Allontanata la ricerca in nome di un’estetica obiettivamente fallata, l’arte si avvicina dunque a un bivio ormai non più così lontano: proseguire rivolgendo a se stessa le proprie attenzioni come unica risposta possibile al decadimento della società e, in questo senso, registrarne lo sfascio; o rialzarsi nelle intenzioni dei suoi protagonisti più autorevoli così come di quelli più nascosti, banalizzando finalmente la mediocrità e levando gli scudi per la forza delle idee: poiché è il peso delle cose a giustificare le azioni che dedichiamo al nostro quotidiano, alla nostra cultura e a chi verrà in futuro.
Sebbene, di ciò, dimostriamo d’avere ancora ben poca consapevolezza.
All’interno di una più completa idealizzazione dell’intervento artistico nella quale l’opera possa divenire ora riqualificazione intellettuale; ora sensibilizzazione sociale nei confronti di un fare oltremodo complesso e intransigente come lo è da sempre la scultura; ora familiarità nei confronti di un contemporaneo italiano concettuale e intenso, inattaccabile nelle forme e nei contenuti tanto da rappresentare degnamente le ragioni che a questo sottendono, il progetto si fonda dunque sul concetto di peso in relazione al reale valore da assegnare agli aspetti della vita e, tramite l’arte, esemplificarne o chiarirne il significato: andare all’essenza, scavare a fondo e riconsiderare il mondo per quello che è – e non per come appare – diviene dunque operazione prima di tutto simbolica, intellettuale, emotiva e successivamente fisica, materica, visiva, considerata quella particolare e inalienabile natura che ci rende comunque esseri umani.
L’intervento di Paolo Mezzadri rispecchia in pieno quelle che sono, in realtà, le dinamiche di una più sottile e concettuale analisi dell’individuo, isolato dalla società di cui fa parte in virtù di uno studio sulle spinte emotive e fisiche della propria anima. Un’anima poetica e pragmatica al contempo che ama, desidera, scrive e racconta: e che misura il tempo in cui vive con una sensibilità che altera il comune senso di peso. Un’anima inoltre che raccoglie diligentemente informazioni e le rielabora sotto forma di ricordi e di messaggi, siano questi positivi o negativi, individuali o comunitari, nella considerazione riflessiva che l’inconoscibile sia, prima di tutto, dentro noi stessi.
Massimiliano Roncatti è invece l’artista che più degli altri sostiene lo scotto di un contemporaneo privato del suo tenore: e abbandona di netto l’idea di una scultura per la scultura per concentrarsi sull’allontanamento da quell’estetica fine a se stessa che appare più vera rinuncia che scelta ragionata. Estremamente in linea con l’analisi fisica dei risvolti economici, sociali e politici di cui l’arte è conseguenza e – talvolta – spinta, attraverso i suoi marmi Roncatti analizza la nostra società con grande forza espressiva, puntando l’attenzione su felici associazioni di idee tese alla sensibilizzazione violenta del singolo. La nostra realtà quotidiana, individuata nella propria complessità, viene destrutturata e riassemblata in concetti assoluti che ne interpretano la condizione, assecondando una spiccata propensione alla contestazione sociale attiva e propositiva che lega l’arte al nostro contemporaneo.
A ciò si ispira infine Pierluigi Slis: da sempre affascinato dalla non-convenzionalità dei materiali come sinonimo di funzionalità e comunicazione, ha inteso la propria presenza nel primigenio interesse per il concetto di peso in quanto conoscenza. Ponendo in relazione il presente e il suo possibile, l’intenzione e l’azione, egli mette in luce gli effetti dell’autoanalisi sullo stato di consapevolezza individuale fisica ed emotiva a cui l’uomo è attratto, in ragione di un rapporto ugualmente antitetico e organico tra singolo e società: l’osservazione misurata di ciò che l’uomo crea per se stesso tradisce la volontà di tramandare il proprio sapere al di là del prodotto realizzato, sia questo artistico o industriale. Tale inconscia percezione si palesa nella gioia che egli raggiunge in rapporto a un’intenzione definita probiotica; di contro, si svuota per ciò che è considerato antibiotico. L’arte, come prodotto, non può sottrarsi a questo fatto: l’intenzione probiotica si alimenta dunque mediante la consapevolezza, la consapevolezza mediante la cultura. Il saper fare desidera quindi anche un saper essere: mentre la sola cosa che non potremo mai possedere – il tempo – si fa carico per ciascuno di noi del risultato delle nostre azioni.”
Francesco Mutti