La fragilità non inquina
1 marzo 25 marzo 2022
galleria Federica Ghizzoni, Milano
“La fragilità non inquina”: il titolo ci immerge nell’effetto che la fragilità imprime nella costruzione dell’umano. Questo effetto ci conduce dentro un fenomeno evolutivo che riguarda ognuno di noi, e che sa rammemorare i diversi passaggi della vita, a partire dalla nostra nascita. Una sorta di lutto originario precoce che si ripresenta per tutta l’esistenza: una cicatrice originaria che i metalli arrugginiti, utilizzati dall’Artista per le sue opere, evocano. Qualcosa che resta e che va costantemente attraversato e rinnovato.
Ecco che “l’inutile” dell’arte di Mezzadri, con i suoi oggetti totalmente effimeri e “dimenticati”, si fa massimamente utile: l’utilità dell’inutile si rivela di un’importanza essenziale per la vita, salvandola e difendendola, perché ogni cosa a cui si dà valore può diventare forma, come lo sguardo sulla ruggine di Mezzadri.
Fragile è il nostro corpo che sin dalla nascita per poter uscire, aprirsi al respiro e mettersi in contatto con il mondo ha bisogno di rotture, di ferite. I materiali di Mezzadri, fatti di tondini grezzi e di lamiere arrugginite, sembrano rotti come la rottura di una ferita capace di aprirsi al contatto con il mondo. Nasce in questo modo la nostra relazione con la vita, che si nutre anche della relazione con il mito: gli eroi della tradizione occidentale presentano tutti connessioni con lesioni e fragilità che li guidano con coraggio verso visionarie traiettorie. Il loro talento pare associarsi più alla fragilità che alla forza, così come l’intuizione più profonda si accosta alle nostre maggiori limitazioni. Quella ruggine commuove perché sa raccontare una lotta estenuante, sino all’ultimo respiro, con la materia e con l’inevitabile impermanenza di tutti gli esseri viventi; racconta l’urto violento con le turbolenze della realtà che, attraverso l’opera e il gioco, si trasforma in poesia e bellezza.
Mezzadri usa materiali poveri, dimenticati dalla società, scarti inaccettabili, inguardabili, come la luce abbagliante di tutte le cose veramente preziose. Sa parlare leggero di un corpo greve, di una passione che descrive un martirio, e nel contempo sa evocare immagini primordiali che assorbono diverse tradizioni iconografiche.
Con i suoi materiali negletti e feriti, crea un contrappunto armonico fatto di tanti brandelli di un reale mai avvicinabile totalmente perché troppo scabroso e incandescente. Tratta la materia che plasma come se fosse musica da comporre, la sua musica, facendoci ascoltare soprattutto il silenzio e il vuoto come possibilità generative.
Nel lavoro di Mezzadri c’è un culto del recupero della memoria che interviene direttamente sulla materia senza inquinarla, dove Eros e Thanatos vivono di un giusto equilibrio, unificando i frammenti dentro la forma delle sue opere. La vita si può ricomporre attraverso narrazioni poetiche. L’Artista non ci conduce mai verso una materia informe, bensì riporta la materia a una dignità plastica fatta di forme quasi perfette, come se fosse una finzione sacra, come lo è il gioco, e forse l’amore.
Fragili sono i luoghi che abitiamo e Mezzadri ne sa inventare un inedito senso della vivibilità. Crea paesaggi che parlano di un altrove, dove il pensiero si unisce al sentimento di un tempo passato più che mai presente. I luoghi che immagina sono un altrove che sa unire, connettere, ma soprattutto contenere e restaurare una parola lontana che, con flebile voce, sussurra i segreti dell’esistenza, mai totalmente svelabili. Luoghi che dilatano e compongono un’imprevedibile idea, un desiderio mai sopito: luoghi che, come i sogni diurni, uniscono il visibile con l’invisibile.
Le sue opere “invisibili” creano uno splendido ossimoro connesse ai materiali impiegati. Esse si avvertono primariamente con i sensi, poiché com-prendono un corpo emozionale che sa parlare di un’origine, di un primo ricordo, di quel primo sguardo filtrato da una sensibilità di fanciullo che, nonostante tutto, si ostina a creare mondi possibili, fragili, che non inquinano…
Ivan Paterlini